L’Associazione “Amici di Monsignor Aristide Pirovano” partecipa al dolore dei familiari per la scomparsa dell’architetto Marco Cesare Molteni, avvenuta venerdì 8 maggio, a 74 anni, dopo una lunga malattia. I funerali svolgeranno lunedi’ 11 maggio nella chiesa prepositurale di Santa Maria Nascente.
L’architetto Molteni non era solo un sincero e affezionato amico di monsignor Pirovano: era anche il suo «tecnico di fiducia». Per questo, tra gli anni Ottanta e Novanta, padre Aristide più volte lo “chiamò” in Brasile da Erba per i lavori di ristrutturazione del lebbrosario di Marituba e la realizzazione del Centro dermatologico e del poliambulatorio “Nostra Signora della Pace”. E l’architetto rispose sempre all’appello, come quando collaborò al progetto del nuovo ospedale.
Per il libro “Aristide Pirovano. Il vescovo dei due mondi”, l’architetto Molteni rilasciò una toccante testimonianza scritta. La riproponiamo qui di seguito.
«La dolce mano di un architetto fallito».
Aeroporto di Belem, notte fonda…
La circolare Nord-Est ha accumulato, come d’uso, otto ore di ritardo. Con ritmi lenti e assonnati i passeggeri, avvolti nel buio, guadagnano l’uscita dall’aereo e si dirigono verso braccia protese. Una sagoma nera si distingue tra le altre per il pallore del viso e la lunga barba bianca, illuminati da occhi vivissimi e da un sorriso dolce, familiare.
«Ciao Marco! Tutto ok? Giusto in tempo per un caffè. Abbiamo l’incontro con i funzionari per l’esame del progetto e dobbiamo fare bella figura. Ce l’hai la matita, vero?»
«Eccola!».
«Andiamo!».
Mi aveva atteso per tante ore, ma non appariva stanco. Con la meraviglia e l’entusiasmo che accompagnano la scoperta di un regalo, aveva svolto subito il rotolo dei disegni, puntando il dito in più direzioni per indicare le varianti da apportare prima dell’incontro con i rappresentanti del governo, fissato in mattinata.
La stanchezza del viaggio ha lasciato il mio volto stupìto per le puntuali osservazioni. Colto lo stupore, una fragorosa risata accompagna la frase: «Ma non sai che dietro l’abito di ciascun missionario si nasconde un architetto fallito? Andiamo, che abbiamo tante cose da fare insieme. Ciao, ciao»…
…Marituba, prime luci dell’alba…
Il sonno non mi ha fatto compagnia. Il rumore della terra smossa cattura la mia attenzione. Una sagoma ricurva imprime forza al pedale e si avvia incerta, nelle prime luci dell’alba, fischiettando al nuovo giorno. È lui! Porta l’Eucarestia direttamente nei cuori di corpi femminili, mutilati dalla lebbra. Lo seguo, trasgredendo un suo consiglio. Il fetore che accompagna la morte mi respinge. Resisto e rimango aggrappato alla porta di una stanza buia, dove alcuni tronchi inerti giacciono senza un lamento. La sua mano, diafana come il volto e l’intera figura, indugia con infinita dolcezza su ogni corpo, che si anima e prende nome.
Un debole raggio di luce disegna il suo profilo, come una farfalla che dispiega le ali. «Signore, non sono degno di riceverti nel mio cuore», dice, illuminandosi in un dialogo diretto con Dio. I tronchi, senza più radici, prendono corpo e voce nell’Elevazione.
L’argine eretto ai lati dell’alveo ove scorrono le emozioni frana all’istante, e il fiume di lacrime, imbrigliate a ogni perdita d’affetto, defluisce senza difese e senza tempo. Una mano sulla spalla soffoca il singhiozzo senza ritegno.
«Lo vedi, Marco, cosa succede a non ascoltare i consigli? Era troppo presto. Loro hanno bisogno del nostro sorriso. Di lacrime ne hanno già avute abbastanza. Andiamo a prendere un caffè».