Un vero e proprio lazzaretto, dove al disfacimento fisico la lebbra aggiunge la progressiva emarginazione dell’ammalato, condannato a un’umiliante segregazione. In luridi padiglioni, adagiati su assi di legno, sono ricoverati esseri umani storpi, ciechi, malati di mente. Alcuni camminano con l’aiuto di stampelle, altri si dimenano su carrelli a rotelle, altri ancora strisciano per terra. Dappertutto polvere, sporcizia, scarafaggi e topi.
Questa è l’immagine che si presenta a Marcello Candia quando, nel gennaio del 1967, durante un viaggio da Macapà, si imbatte nel lebbrosario di Marituba, creato dal Governo nel 1942 a una ventina di chilometri da Belem, nello Stato del Parà, nel delta del Rio delle Amazzoni. Nella lingua degli indios brasiliani Marituba significa “il posto dei tanti alberi di marì” (frutti piccoli e gialli). Ma il soprannome più conosciuto è “l’anticamera dell’inferno”.
Immediatamente Candia decide di alleviare in qualche modo quelle sofferenze. Dopo alcuni contributi personali, nel 1969 dà il via alla costruzione del Centro sociale Città di Milano, con attività educative e artigianali e una palestra di fisioterapia. Suore di Maria Bambina e Missionarie dell’Immacolata cominciano a far visita ai lebbrosi.
Nel 1974 arriva il primo cappellano, don Mario Gerlin. Nel 1975 Candia comincia la costruzione della Casa di Preghiera Nostra Signora della Pace e poi, stabilitosi definitivamente lì, chiede aiuto al Pime per le attività pastorali. Terminato nel 1977 il secondo mandato di Superiore generale, monsignor Pirovano decide di raggiungerlo. Ad accoglierlo, oltre a Candia, c’è Adalucio Calado, il leader della comunità dei lebbrosi: senza mani e piedi, si muove grazie a un trespolo a tre ruote e ha imparato a scrivere a macchina servendosi di guanti con stecche di legno.
Alla fine degli anni Settanta a Marituba vivono circa 1200 persone. Pirovano e Candia si dedicano alla sistemazione dei vecchi padiglioni del lebbrosario e avviano una vasta opera d’assistenza umana e spirituale nei confronti dei lebbrosi. Cominciano a disboscare la foresta, acquistano attrezzi, concime, sementi; nasce una cooperativa agricola, poi una falegnameria e una scuola di taglio e cucito. Si progettano case, servizi sociali, dispensari. Anche gli egressos, gli ex lebbrosi, tornano a Marituba, insediandosi in piccole capanne di legno nei pressi del lebbrosario, e a loro si aggiunge un numero sempre maggiore di persone provenienti dalla foresta.
Nel 1980, durante il suo viaggio apostolico in Brasile, Giovanni Paolo II decide di far visita a Marituba. Vi giunge l’8 luglio, in una giornata di caldo soffocante. Accolto da Pirovano e Candia, Karol Wojtyla mostra grande tenerezza per i lebbrosi. Al termine della messa, celebrata nella piccola chiesa di Nostra Signora di Nazareth, Candia accompagna Adalucio a porgere a Giovanni Paolo II il saluto della sua comunità: «Siamo esseri umani, abbiamo anima e cuore, siamo figli di Dio, capaci di amare e essere amati. Meritiamo rispetto per la nostra dignità di esseri umani». Profondamente commosso, il Pontefice risponde: «Per me siete persone ricche di una dignità immensa, ricche ciascuna della fisionomia personale, unica e irripetibile, con cui Dio l’ha fatta. Siete ora e lo sarete per sempre miei amici molto cari».
La visita del Papa ha un effetto straordinario per la vita di Marituba. Prosegue l’esodo delle popolazioni della foresta: arrivano a migliaia, richiamati dai servizi offerti nell’ex colonia: nel 1981 a Marituba si contano già 11 mila persone. Monsignor Pirovano e Marcello Candia aumentano il loro impegno. Si sviluppano attività agricole e artigianali, si aprono negozi, nel Centro sociale si moltiplicano i corsi professionali e le campagne per l’igiene e l’alfabetizzazione. Anche la vita religiosa si intensifica. Comincia la costruzione dell’asilo infantile e della scuola elementare e il programma educativo progredisce.
Nell’agosto del 1983 muore Candia. Marituba conta ormai 30 mila abitanti. Sorgono il Centro dermatologico (poi intitolato a Candia) e il nuovo Poliambulatorio Nostra Signora della Pace.
Nel 1985, giunto alla soglia dei settant’anni, padre Aristide comprende che, per assicurare il futuro di Marituba, è necessario individuare un istituto o una congregazione in grado di assumersi la responsabilità delle attività che lui, prima o poi, sarà costretto a lasciare. Stabilisce allora una forma di collaborazione con l’Ovci, l’Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale collegato alla Nostra Famiglia di don Luigi Monza. Ma un’altra idea lo assilla da tempo: realizzare un ospedale da mettere a disposizione delle decine di migliaia di persone che gravitano attorno a Marituba. (foto 4)
Interpella allora i Poveri Servi della Divina Provvidenza, congregazione del Beato don Giovanni Calabria, attiva da anni in Brasile, che gli fornisce le garanzie richieste. A convincerlo è soprattutto la conoscenza prima di fratel Lairton Morawski e poi di fratel Gedovar Nazzari, a cui affiderà la direzione delle attività. I Poveri Servi assumono ufficialmente la responsabilità di Marituba dal 25 febbraio 1991 e monsignor Pirovano rientra in Italia, continuando comunque a seguire il progetto dell’ospedale, curato dall’ingegner Teresinha de Jesus Araujo. La posa della prima pietra avviene nel febbraio del 1992.
Nelle scuole e negli asili i bambini sono ormai quasi tremila: per provvedere alla mensa, alle spese scolastiche e agli interventi sanitari finalizzati alla diagnosi precoce dei casi di lebbra, nel 1993 vengono attivate le adozioni a distanza. L’anno dopo le autorità statali brasiliane cedono definitivamente le strutture del lebbrosario ai Poveri Servi della Divina Provvidenza, che danno il via al risanamento dei vecchi padiglioni per trasformarli in una moderna unità di cura per la lebbra.
Nel 1996 si completa finalmente la struttura portante dell’ospedale: gli ultimi lavori vengono portati a termine il 15 febbraio, alla presenza di monsignor Pirovano, alla sua ultima visita a Marituba. Negli ultimi mesi di quell’anno, infatti, il vescovo missionario è colpito dal tumore fatale.
Dopo la sua morte (3 febbraio 1997), però, Marituba non è rimasta sola: gli Amici di monsignor Pirovano hanno continuato a convogliare aiuti e solidarietà a suo favore. Oggi la città conta circa 150 mila abitanti ed è la quarta municipalità dello Stato del Parà per la qualità della vita. “L’anticamera dell’inferno” è diventata “il miracolo dell’amore”.