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La missione di padre Aristide e quella di oggi

La missione ai tempi di monsignor Aristide Pirovano, il Vescovo missionario di cui quest’anno Erba, sua città natale, celebra il centenario della nascita, e quella di oggi, nel mondo globalizzato del terzo millennio. L’esempio di Pirovano, coraggioso pioniere dell’evangelizzazione nell’Amazzonia brasiliana e poi saggio pastore al fianco degli ultimi della terra, ugualmente dedito alla promozione integrale della persona, dagli indios di Macapà ai lebbrosi di Marituba, e per questo capace a sua volta di fecondare altre vocazioni missionarie, come quella del Venerabile Marcello Candia. E la realtà di vita e di fede dei missionari di oggi, sempre tesi nell’impegno missionario ad gentes, ma anche pronti a fare tesoro di questa loro esperienza per dare nuovo slancio alla pastorale ordinaria delle Chiese locali.

Se ne è parlato lunedì 27 aprile, nell’affollata Sala Isacchi di Ca’ Prina a Erba, per il secondo appuntamento del ciclo “Il romanzo di una vita”, con cui l’Associazione Amici di monsignor Aristide Pirovano, in collaborazione con la Comunità pastorale Sant’Eufemia e col patrocinio del Comune di Erba e di Ca’ Prina, sta ripercorrendo l’affascinante itinerario umano e spirituale di padre Aristide.

È intervenuto monsignor Ennio Apeciti, responsabile del Servizio Cause dei Santi della Diocesi di Milano e rettore del Pontificio Seminario Lombardo di Roma, che ha indicato in una forte manifestazione di devozione popolare nei confronti di padre Aristide uno degli elementi chiave per dare sviluppo all’auspicata causa di beatificazione: «L’ammirazione, l’affetto, un ricordo vivo ancora dopo tanti anni sono importanti per la cosiddetta fama di santità, ma non bastano: occorre anche il desiderio di pregare “lui” e non solo “per” lui». Apeciti ha sottolineato la capacità di padre Aristide di «generare santi» (il Venerabile Marcello Candia) e di «entrare in relazione con i santi» (lo stesso Candia, il Beato Paolo VI e don Giussani, la cui causa è in itinere), con i quali condivideva la volontà di «credere nella Chiesa e di amarla sinceramente». «Dio ha operato in lui e lui ha saputo accogliere la chiamata di Dio- ha detto ancora -. Per questo è per noi un maestro, nella misura in cui ha qualcosa da dirci e da insegnarci». Per esempio un coraggio dalle mille sfaccettature: «Quello di sapersi padroneggiare nelle situazioni più pericolose, di non estraniarsi e di mettersi in mezzo ai problemi, di esercitare la giustizia a favore degli oppressi. E poi il coraggio proprio del missionario, che è il coraggio della pazienza, della profezia e della speranza, racchiuso nel suo sorriso, che sapeva rasserenare e sciogliere tutti i nodi».

Interpreti della “missione oggi”, hanno poi preso la parola alcuni missionari erbesi che animano l’Associazione Nisshash, nata nel 2010 per promuovere iniziative di solidarietà e di sostegno verso le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Padre Luca Galimberti, del Pime, ha sintetizzato nell’immagine del viaggio la sua ricerca interiore di un orientamento e di uno scopo lungo un percorso che, attraverso gli studi, lo sport, la passione per la musica corale, esperienze spirituali e di servizio, è approdato poi alla vocazione «nata in una dimensione di gruppo» e alimentata negli anni dalle lezioni di maestri come Carlo Maria Martini ed Enzo Bianchi. Fino alla maturazione del desiderio di «essere un uomo di Dio tra gli uomini, al servizio della Chiesa proprio là dove la Chiesa fa più fatica e si confronta con altre culture e religioni», che l’ha portato alla missione per molti anni in Banghladesh. E ha concluso definendo la missione oggi come «un viaggio dentro l’umanità, custodendo l’amicizia col Signore nel libero incontro con gli altri, riconoscendo dignità a ciascuno e reagendo a ogni forma di ghettizzazione e discriminazione».

Il comboniano padre Daniele Frigerio, a lungo attivo in Ciad e oggi impegnato in una realtà parrocchiale a Monza, ha sottolineato il mutamento di prospettiva della missione: «In Africa non c’è più una Chiesa da fondare, ma piuttosto c’è una Chiesa africana da aiutare a crescere». La missione, quindi, va rimodulata «in un contesto di reciprocità», coltivando il rapporto con la Chiesa d’origine, che in questo modo «può essa stessa rigenerarsi». E riguardo la sua opera a sostegno dei migranti ha puntualizzato: «Non posso tollerare che i miei connazionali italiani si rifiutino di accogliere gli africani… Bisogna investire nella dimensione della carità, dell’incontro con l’altro e col povero in particolare. Dobbiamo arrivare a conoscerci e a capire che nel mondo siamo tutti nella stessa barca…».

Dell’Associazione Nisshash fanno parte anche la Piccola Sorella Valeria Testori (in missione in Paraguay) e suor Maria Luisa Caruso, Suora della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, che dall’Etiopia ha inviato una testimonianza scritta, letta da Sabrina Rigamonti. Toccante il suo ricordo di padre Aristide: «Sin da bambina sentivo parlare di lui dai miei nonni, dalla mia mamma, come di un gigante della fede e dell’amore, tanto che quando per la prima volta lo sentii raccontare della sua missione in un’omelia ne rimasi davvero affascinata e decisi allora di diventare missionaria…». Ha poi spiegato come il suo sì alla missione si è «radicato in un sì più totale a seguire il Signore come Suora della Carità di Santa Giovanna Antida e a vivere anche ciò che la nostra santa fondatrice diceva: “Varcherei i mari se capissi che questa è la volontà di Dio”…. Lei li ha varcati e sul suo esempio anch’io l’ho fatto…». Vivere la missione, per suor Maria Luisa, «significa essere sempre e completamente in gioco, non lasciarsi mai prendere dall’abitudine, ma continuamente interrogarsi e interrogare»; è la vocazione «a un continuo dialogo con il Signore in tutto ciò che facciamo».

In conclusione don Giovanni Afker, responsabile della Comunità pastorale Sant’Eufemia, ha tracciato un breve ricordo di Marisa Benaglia, la volontaria erbese fondatrice di SolidarietàKenyaonlus scomparsa lo scorso anno: «Ha sempre operato in una prospettiva di promozione e non di proselitismo. Viveva la sua spiritualità in modo molto personale, ma non ha mai cessato di offrirsi agli altri, fino all’ultimo…».

La prossima serata del ciclo “Il romanzo di una vita” è in programma lunedì 25 maggio, sempre alle 20.45, nella Sala Isacchi di Ca’ Prina. Sugli anni di monsignor Pirovano Superiore generale del Pontificio Istituto Missioni Estere dialogheranno i giornalisti Gerolamo Fazzini, consulente per la comunicazione del Pime, e padre Costanzo Donegana, già direttore di Mundo e Missao in Brasile.

Testimonianza

Il filmato integrale della seconda serata è disponibile su youtube in due parti:

Guarda il video: prima parte


Guarda il video: seconda parte

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