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Padre Aristide e San Maurizio, un rapporto speciale

La comunità di San Maurizio è sempre stata amica e vicina a monsignor Aristide Pirovano, partecipando attivamente e con entusiasmo alla raccolta di quanto doveva essere inviato a Marituba.

Il materiale veniva stoccato in un container presso la Metalfar, sotto il coordinamento di Giorgio Cascarano. Tra gli altri ricordo cento cuscini donati da una famiglia di Garbagnate Rota, poltroncine in plastica fornite dalla Ipae, garze, bende e materiale sanitario che poi il dottor Aldo Lo Curto utilizzava nel curare i lebbrosi brasiliani. Sempre Lo Curto si era incaricato delle spedizioni di latte in polvere (di ottima qualità e a lunga conservazione) per i bambini, nonché della raccolta di campioni di farmaci che i medici ricevevano dalle case produttrici e che non utilizzavano.

Di questi ultimi si occupava Virginia Roda, storica impiegata dell’Agenzia automobilistica Galli e nostra vicina di casa. Ma la quantità era tale (riempivano i sacchi neri della spazzatura…) che a un certo punto chiese aiuto a mia moglie Enrica, sua amica. Lei eliminò i farmaci scaduti o in scadenza, ordinò tutto il resto per tipologia di medicinale e lo immagazzinò in scatole di cartone da stipare nel citato container. Lì finì pure un apparecchio per la mammografia prodotto dalla Gilardoni di Mandello del Lario.

Poi Enrica invitò le mamme dei giovani nuotatori dell’Us San Maurizio a realizzare e raccogliere manufatti per organizzare “mercatini missionari” a favore di padre Aristide. Molte ditte (i fratelli Rossini, gli Onofri, la Gastaldi di Merone…) fornirono i tessuti da cui ricavare pregiati lavori di maglieria: lenzuola, tende, tovaglie. Il tutto sotto la supervisione di Carla Pirovano, sorella di padre Aristide, che ricamava in maniera splendida ed era in grado di confezionare autentici capolavori, che poi andavano a ruba. Ma tutte lavoravano in modo spettacoloso. Altri articoli giunsero da due terziste di Missoni e Gucci, che misero a disposizione prodotti non commerciabili perché recavano qualche impercettibile difetto. E poi ancora seta, da cui ricavare centritavola, gonne, camicette, cravatte, papillon, pochette…

I mercatini erano quattro. Il primo, alla fine di novembre, era a inviti e vedeva coinvolte le persone più facoltose e sensibili, provenienti non solo da Erba e da tutta la Lombardia, ma anche dal Piemonte e dalla Liguria. Enrica le invitava a pranzo, dando loro modo di visionare in anteprima quanto sarebbe stato esposto, e naturalmente gli acquisti erano copiosi. Per motivazioni e generosità si distingueva Franca Farina, che cercava sempre di assicurarsi i capi più belli, pagandoli poi molto più del loro prezzo di vendita.

Il secondo mercatino si svolgeva vicino alla chiesa di San Maurizio la domenica precedente la festa dell’Immacolata: oltre ai tavoli allestiti per l’esposizione venivano predisposte stufette per riscaldare e il parroco garantiva panini e caffè dal bar vicino. Il terzo, invece, era presso la prepositura di Santa Maria Nascente e vedeva impegnati anche gli altri gruppi e associazioni missionarie. Il quarto, infine, era annesso alla serata augurale prenatalizia al Ristorante “Riposo” di Cesana Brianza, dove veniva esposto ciò che non era stato venduto nei precedenti mercatini, insieme a quanto era avanzato da analoghe vendite organizzate dall’Istituto San Vincenzo.

Naturalmente i proventi di queste attività venivano devoluti a favore di Marituba. Non totalmente, però, come ebbi modo di scoprire in una circostanza drammatica. Un anno, in gennaio, nel cuore della notte ricevetti una telefonata da mia sorella Rita, Missionaria dell’Immacolata a San Paolo (Brasile). Era disperata: un tifone aveva scoperchiato il tetto della “Villa Missionaria”, dove risiedeva la comunità di religiose di cui era Superiora. Aveva già quantificato il danno, sei milioni di lire, e chiedeva il mio aiuto immediato. Il giorno dopo mi misi all’opera e in poche ore riuscii a racimolare quella somma, anche grazie alla disponibilità di un direttore di banca, che non solo agevolò le operazioni di trasferimento del denaro, ma volle dare un suo personale contributo. Presso lo stesso istituto di credito era attivo anche il conto corrente a cui indirizzavamo i contributi per Marituba, che proprio quell’anno erano stati particolarmente ingenti. Disposto quindi l’invio del denaro (che giunse in Brasile nel giro di ventiquattrore), d’accordo con Enrica e tenuto conto della differenza di fuso telefonai a monsignor Pirovano in Brasile per metterlo al corrente dell’accaduto. Quando mi rispose, con mia grande sorpresa scoprii che il mercatino “di padre Aristide” era in realtà il mercatino di tutte le missioni, perché lui ne distribuiva il ricavato tra tutte le realtà che aveva fondato o con cui era in qualche modo collegato. In quell’occasione mi disse: «Quest’anno mi avete inviato tanto denaro che non solo ho pagato i miei debiti qui, ma ho pure avanzato altri soldi, che ho già mandato a Macapà e a suor Rita. Quindi stai tranquillo, potrà ricostruire il suo tetto e ci metterò una buona parola perché possa anche risparmiare qualcosa…».

I problemi finanziari di “Villa Missionaria” però non erano finiti e a questo punto intervenne Maria Teresa Prina, già compagna di scuola e collega di lavoro di mia sorella e poi moglie di Mario Redaelli, per molti anni sindaco di Merone. Maria Teresa – che aveva creato e dirigeva “La Mimosa”, attrezzato e qualificato centro estetico e di benessere – non restò insensibile all’appello della sua vecchia amica, nel frattempo richiamata in Italia per assumere l’incarico di Economa della sua congregazione: con intelligenza, generosità e senso pratico, preparò una locandina con le foto dei ragazzi brasiliani quale veicolo promozionale per chiedere contributi, in primis alle altre ex colleghe di lavoro e poi alle sue clienti. Raccolse così una bella somma e si recò di persona a San Paolo per consegnarla. Il suo contributo rese possibile, tra l’altro, l’acquisto di una jeep per velocizzare i collegamenti e gli spostamenti tra le varie strutture della missione, agevolando così l’opera delle religiose. Poi – grazie anche all’aiuto di Roberto Curtis, allora titolare della discoteca “2001”, che donò gli incassi di diverse serate – fu finanziata la costruzione di un asilo, che a suor Rita era stata richiesta dallo stesso Arcivescovo di San Paolo.

In tutto questo monsignor Pirovano era sempre presente, seppur in maniera discreta, con una “regia” tesa a controllare che i lavori venissero fatti nel migliore dei modi. Quando poi la precarietà di “Villa Missionaria” stava spingendo le suore a venderla, fu Mario Redaelli a garantire i fondi necessari per ristrutturarla e ampliarla. Alla fine la struttura fu ribattezzata e ancora oggi si chiama “Casa Irma Rita Cavenaghi”.

Quando non fu più possibile inviare denaro a stranieri residenti in Brasile, mia moglie si recò di persona a Marituba per portarlo. Iniziò così quella lunga serie di voli trans-oceanici grazie ai quali Enrica ha lasciato un pezzo di cuore a Marituba. Io l’ho accompagnata nella maggior parte dei casi, viaggiando sempre a nostro carico. I soldi meglio spesi in vita mia.

Franco Cavenaghi

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