Una giornata storica, un evento inedito: per la prima volta un Papa entrava in un lebbrosario. Accadde l’8 luglio 1980, esattamente quarant’anni fa: Giovanni Paolo II visitava la colonia di Marituba, accolto da monsignor Aristide Pirovano, dal dottor Marcello Candia e da Adalucio Calado, leader della comunità di hanseniani. Ricordiamo quell’eccezionale avvenimento pubblicando uno stralcio del volume «Aristide Pirovano. Il vescovo dei due mondi» e due video in portoghese realizzati all’epoca dalla tv brasiliana: il primo presenta la visita anche attraverso un’intervista a padre Aristide, il secondo ne documenta alcuni passaggi salienti.
Nel 1980 Papa Giovanni Paolo II programma un viaggio apostolico in Brasile. Tra i desideri del Santo Padre c’è quello di visitare un lebbrosario; per un Pontefice sarebbe la prima volta. La scelta cade proprio su Marituba. La notizia scatena la gioia, mista a incredulità, da parte dei lebbrosi. Padre Aristide teme però che la visita del Papa si trasformi in una sorta di “passerella” per le autorità locali, sempre pronte a mettersi in mostra in cerca di pubblicità. Comunica quindi, a mezzo stampa, a chiunque fino ad allora non si è mai fatto vedere al lebbrosario, di non venire neppure quel giorno, perché il Papa vuole incontrare i lebbrosi e nessun altro. Nei giorni della vigilia, a Marituba si respira un’atmosfera di grande eccitazione. Televisione e giornali hanno dato molto risalto alle adunate di folla che hanno accolto il Pontefice nelle precedenti tappe del suo viaggio, e c’è ancora chi fatica a credere che quell’uomo vestito di bianco possa venire proprio lì, in mezzo agli ultimi della terra.
L’8 luglio a Marituba fa molto caldo. Quando il Papa polacco arriva, si crea una gran ressa di autorità, giornalisti e fotografi, che nascondono alla vista del Pontefice i lebbrosi sulle carrozzine e sulle lettighe. A monsignor Pirovano che lo riceve Giovanni Paolo II chiede incuriosito: «Ma i lebbrosi, dove sono?». Improvvisamente, in mezzo alla muraglia umana sbuca un moncherino di braccio. È una lebbrosa adagiata su un carretto ad averlo steso. Karol Wojtyla ha un moto istintivo di ripulsa, ma è solo un attimo: si china, stringe quella “mano” e quel “braccio” e arriva finalmente dalla lebbrosa. È il primo di una lunga serie di gesti di affetto e di tenerezza. In molti non riescono a trattenere le lacrime.
Inizia la messa attorno alla piccola chiesa di Nostra Signora di Nazareth. Nella piazza sono radunate migliaia di persone. Monsignor Pirovano concelebra con il Papa; Candia è giù, in mezzo alla folla, a guidare la carrozzina di Adalucio e a fargli aria con un ventaglio. Adalucio è molto emozionato: deve porgere a Giovanni Paolo II il saluto di benvenuto dei lebbrosi. Dice al Papa che la sua visita è la «felicità delle felicità», una «ulteriore benedizione, perché le benedizioni che abbiamo ricevuto dal nostro Dio e Signore sono numerose». In un luogo «dove esistono il dolore e la sofferenza, ma anche albergano la fede, l’amore e la gioia», Adalucio arriva a dire: «Siamo dei privilegiati, perché la Chiesa è presente in mezzo a noi con la sua azione evangelizzatrice, catechistica, direttiva, di conforto, occupandosi dell’ anima, ma anche delle questioni materiali». A Giovanni Paolo II Adalucio chiede di pregare perché i malati abbiano «il balsamo dell’accettazione della sofferenza»: un’ accettazione non passiva, ma che spinga a «lottare per un miglioramento fisico e sociale», «senza rancore e senza odio». Poi, un molteplice appello: agli scienziati, «perché facciano onestamente delle ricerche affinché sia scoperto il rimedio per questo male millenario»; alle famiglie e alla società, «perché accettino i malati»; e infine ai governi, «perché siano assicurate a tutti condizioni di vita degna, onesta, giusta, poiché siamo esseri umani, abbiamo anima e cuore, siamo figli di Dio, capaci di amare ed essere amati. Meritiamo rispetto per la nostra dignità di esseri umani». Adalucio saluta il Papa chiamandolo «diletto padre, prezioso amico, carissimo fratello Giovanni Paolo Il» e affida alle sue mani una piccola offerta, «frutto del nostro dono d’amore a favore di un seminarista povero che sceglierete a vostro piacere».
Le parole del piccolo lebbroso commuovono profondamente il Pontefice, che rivolge all’ assemblea un discorso molto affettuoso. Definisce l’incontro «una grazia». «Venendo qui a Marituba – dice – è come se visitassi tutte le colonie di lebbrosi del Brasile». «Per me – continua – siete persone umane, ricche di una dignità immensa che la condizione di persona vi dà, ricchi ciascuno della fisionomia personale, unica e irripetibile, con cui Dio lo ha fatto». Con una semplice frase fa fremere tutti i presenti: «Siete ora e lo sarete da qui in avanti per sempre miei amici, amici molto cari». Le parole di Giovanni Paolo II sono innanzitutto «di conforto e di speranza». «La malattia è veramente una croce, una prova che Dio permette nella vita di una persona», ma non va vista «come una cieca fatalità» e neppure come «una punizione»; al contrario, «diventa sorgente di salvezza, di vita o di risurrezione per il malato stesso e per gli altri, per l’umanità intera». Anche il Papa poi fa un appello: «Non isolatevi per causa della vostra infermità», perché «nulla è meglio del sentirvi inseriti profondamente nella comunità degli altri fratelli e non tagliati fuori da essa»; a questa comunità «voi potete offrire, sul piano umano, il contributo dei valori che avete ricevuto da Dio», un capitale che «sarebbe una grande pena disperdere». Di conseguenza, «fate della vostra condizione di ammalati un gesto missionario di immensa portata». Karol Wojtyla conclude con un invito alla fiducia: «Il Papa, assieme a tutta la Chiesa, vi stima e vi ama. Egli assume davanti a voi e con voi l’impegno di fare tutto quanto sarà in suo potere per voi e in vostro favore». A rappresentare questo impegno, rimangono i medici, gli infermieri, gli assistenti, i religiosi e «il caro fratello monsignor Aristide Pirovano, vostro grande amico». Il quale, al fianco del Pontefice, medita sulle parole del Santo Padre e capisce che, dopo questa giornata, la vita a Marituba non potrà più essere la stessa.
Prosegue la messa. La temperatura supera abbondantemente i quaranta gradi e il Papa suda a profusione: la visita in Brasile, per lui, è già stata ricca di giornate faticose e padre Aristide teme fortemente il rischio di un’insolazione. Ma Giovanni Paolo II non si sottrae all’ abbraccio festoso dei lebbrosi, che cantano: «Uba, uba, uba, viva o Papa de Marituba!». Allora prende il microfono e risponde: «Ol, Ol, Ol, Marituba muito sol!». E continua a cantare e gridare fino alla fine della messa, un po’ in italiano e un po’ in portoghese, con il vescovo che gli fa da suggeritore.
Al termine di quella memorabile giornata, padre Aristide presenta al Pontefice Marcello Candia, raggiante; il Papa lo bacia in fronte e gli dice: «Ho tanto sentito parlare di lei!». Al momento del commiato, poi, Giovanni Paolo II si avvicina a monsignor Pirovano e gli confida: «Caro padre Aristide, sappia che io la invidio!».
I filmati sono disponibili sul nostro canale YouTube:
Interviste a Padre Aristide
Visita di San Giovanni Paolo II a Marituba
Saluti ufficiali al Santo Padre da parte del lebbroso Adalucìo